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Che differenza c'è tra: licenziamento, ristrutturazione e disoccupazione parziale?

Mercato del lavoro -
26 febbraio 2009


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Il momento che viviamo offre una grande opportunità per rivedere e aggiornare le parole che si riferiscono alla crisi. Questi tempi difficili non sono piacevoli né per i datori di lavoro né tanto meno per i lavoratori. Spesso si parla dell'ingiustizia di trovarsi disoccupati ma senza pensare a ciò che significa per l'impresa e tutto ciò che ne scaturisce.

In primis, il termine licenziamento ha varie accezioni che possono ricordare il licenziamento collettivo, quello in tronco oppure quello ingiusto. Il primo significa che il licenziamento è effettuato nella totalità, il secondo che la persona non avrà nessuna indennità e non potrà ricorrere ai paracaduti sociali, caso rarissimo che tuttavia esiste. Il terzo è un po' più delicato poiché la riduzione del personale non è, generalmente parlando, né giustificata, né giustificabile. Per aggirare l'ostacolo, il datore di lavoro cerca di trovare un importante difetto nel comportamento del lavoratore, difetto che metterebbe a repentaglio l'equilibrio o la filosofia gestionale dell'azienda e ciò al fine di rendere valido il licenziamento. Un'altra soluzione, forse più efficace, parla di "ristrutturazione". In questo periodo nessuno può negare questo fatto concreto. La ristrutturazione, sul Dizionario Le Petit Robert, versione francese, è definita come il fatto di organizzarsi su nuove basi. Ciò implica, ovviamente, che il personale meno adatto e meno efficiente deve lasciare la nave. Dunque, è molto più facile giustificare tale mossa strategica parlando di ristrutturazione e non di licenziamento. L'ultimo punto, la disoccupazione parziale, significa che un lavoratore che opera al 100%, diminuirà la sua percentuale di attività al fine di non ricevere la lettera di licenziamento. Questa procedura permette all'azienda di diminuire i costi tenendo il proprio personale e continuare l'attività.
 
RS
traduzione: Sandro Cesaraccio
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